Paulette C.

Una delicata e isterica creatura.




Paulette arrivò al Motel poco prima della primavera. Nel maggio dello stesso anno la polizia trovò il suo esile corpo appeso ad un cedro del Parco Pubblico. Il cadavere fu trovato da una bambina di 4 anni, Annette, che disse al padre: Guarda papà! Una pera gigante!.
Era una donna fragile, amava cucire e collezionava forbici e non parlò mai con noi per tutto il tempo - poco, è vero - che restò qui.
- Sembra un'anima in pena!, osservò Clarissa.
Era in pena la sua anima, come quella di suo padre, alcolizzato e violento.
Marla mi disse un giorno:
-Secondo me è muta!
-Ma no!, dissi.
-Io non le ho mai sentito dire una parola, Tu si?.
-Beh, no, in effetti, risposi, ma mentivo.
Paulette infatti parlava. Una sera attraversando il corridoio sentii la sua voce: parlava nel sonno. Non riuscivo a comprendere tutte le parole, ma sembrava parlasse con qualcuno. Diceva di essere mortificata per la Sua morte ma che non aveva potuto evitarla, che tutto poi era crollato e che lei avrebbe preferito morire che sopravvivere a quella che solo molto tempo dopo capì essere la sorella. Infatti dopo il suo suicidio la polizia venne al Motel per le indagini. Io avevo già preso dal suo comodino quelle pagine stappate da Toi et moi di Paul Géraldy sulle quali aveva incollato immagini tratte da vecchi libri, per lo più uomini e donne ai quali cancellava il volto con pastelli a cera rossi e neri. Alle volte cancellava anche delle parole dal testo. Le trovai così interessanti da non poter permettere che finissero negli archivi della polizia di stato. Lasciò solo questi fogli e un libro: Cosa non osano le ostriche del poeta svizzero Urllick Zaw. Interpretai questa dimenticanza come il pagamento delle ultime notti e me ne appropriai. Tornando al rapporto della polizia, a quanto pare Paulette si tolse la vita impiccandosi al cedro del Parco Pubblico. Nella tasca del suo vestito fu trovato un pezzetto di carta sul quale era scritto: Non potevo più. Il commissario mi fece delle domande ed io riposi dicendo che mi era sempre sembrata una persona a modo, sebbene molto silenziosa. Allora lui mi raccontò che quando aveva sette anni aveva ucciso la sorella. L'aveva uccisa nel sonno, soffocandola con la camicia da notte della madre, che dormiva nella stanza accanto. Erano gemelle e, a giudicare dal suo racconto, Paulette non riusciva ad accettare la competizione con la sorella, molto più amata dalla madre di quanto non lo fosse lei stessa. La vicenda aveva destato troppo scalpore perché Paulette rimanesse a vivere nella piccola cittadina di T. e la madre l'aveva affidata ad una cugina e a suo marito, che non avevano avuto figli. Passò il resto dei suoi anni in assoluto mutismo e fu affidata alle cure del Dott. K., ma neanche lui riuscì a farla parlare. Io posso solo dire che la sua delicatezza era sincera, i suoi occhi limpidi e che una mattina venne da me e mi disse quasi sussurrando:Vorrei tornare indietro, ma questo non ci è concesso. Non è così?. Non aspettò la mia risposta e se ne andò. Non potevo immaginare che non sarebbe più tornata.


Paulette amava moltissimo cucire. Non possedeva che mediocri abilità tecniche, ma il risultato non le importava. Il cucito le calmava i nervi e mi disse, a suo modo, che era soprattutto la musica dell'ago che entra ed esce dalla stoffa a rilassarla profondamente. Di quale musica parlasse non so, ma molto spesso la trovavo addormentata sulla poltrona della Grande Sala con il suo lavoro sulle ginocchia, serena.



Il vestito nell'armadio di Paulette: 
La finestra resta sempre un po' aperta, le tende si muovono appena, qualcuno dorme lì dietro e respira con forza. Si vede il segno dei passi, un'ombra chiara e fragile. Questo delirio non facilmente addomesticabile si disperde lungo tutta la stanza e ne inasprisce l'odore. Lei domanda senza parlare, quasi non mi guarda nemmeno, ma la sua richiesta è evidente. Non aspetta risposta, continua a camminare. Poi si ferma come avesse visto qualcosa sul pavimento. Una parte di lei si abbassa a raccoglierla, ma il corpo rimane immobile. Poi la mano si stringe e allora avanza con più decisione verso la porta della sua stanza. Sento che muove la maniglia dall'interno con un ritmo calmo e costante. Lo fa per qualche minuto, poi smette. Una volta nel suo armadio ho visto un vestito macchiato di nero dal collo al ventre: una macchia imponente. Sembrava colore colato da una mano, una mano stretta sul collo e scesa giù sino a sparire. La finestra resta sempre un po' aperta, le tende si muovono appena. Qualcuno dorme lì dietro e respira come un assassino.


Dopo la morte di Paulette, nel cassetto della stanza
da lei occupata a Carnival Motel trovai questo: