Il libro delle cose

 La rosa di pietra di Rose S.
Rose portava sempre con se' una rosa di pietra. Diceva che quella rosa era la sua anima tramutata in pietra da qualcuno quando era bambina:
"Era un pomeriggio d'estate", mi disse "lui era molto sudato e io non sentivo più le gambe. Voleva rubare le mie gambe, credo. Ma e' riuscito a prendere solo la mia anima e l'ha trasformata in questa rosa. C'era caldo e le finestre erano tutte aperte. Ebbe cura di chiuderle tutte mentre gli raccontavo di Louise che era stata tanto cattiva con me. 'Le strade della vita sono cosi' strette che mentre le attraversi ti sembra di soffocare, ma portano tutte all'amore Rose, tutte'. Non capivo cosa volesse dire, una bambina di otto anni crede di sapere tutto dell'amore ma non riesce ad immaginare che per amare sia necessario soffocare. Lui me lo insegno' in quel caldo pomeriggio d'estate cosa significasse soffocare. Poi in giardino, mentre tutti gli altri dormivano, trovai questa rosa di pietra accanto alla fontana e capii subito che si trattava della mia anima e che non avrei dovuto separarmene più per nessuna ragione. In fondo e' meglio avere un'anima di pietra che non averne affatto, non credi?"



La maschera e l'orologio di Alexander G.
Alexander G. era un filosofo. E un erotomane. Si guadagnava il pane con... la sua Natura, almeno così diceva. Aveva tutta l'aria di un nobile decaduto e ho sempre sospettato che fosse in verità un ricco ereditiero, perchè se è vero che non ebbe mai un lavoro è vero anche che amava troppo le giovani donne per scegliere di lavorare con le facoltose attempate di cui andava narrando le bizzarre richieste erotiche. Aveva molta fantasia, e una logorrea talvolta imbarazzante. Naturalmente si innamorò di Kate al primo istante, ma lei vedeva in lui un uomo e non un gatto, per cui tutto si limitò inizialmente a qualche fusa, poi a qualche graffio...



La chitarra e la statuina di K.Edo
K.Edo era orfana dalla nascita. Nata in Giappone era poi passata da un orfanotrofio all'altro in varie parti del mondo. Non parlava bene nessuna lingua e inventava alfabeti impossibili per per il suo canto. Viveva suonando per le strade delle città in cui si fermava, accompagnando quello che potrebbe essere definito un grammelot con la sua vecchia chitarra di plastica. Una notte suonò per noi al motel un brano in cinese inventato. Il titolo era "Shan Shan", o qualcosa di simile, e lo aveva scritto, come poi mi disse nascondendosi gli occhi dietro il manico della chitarra, per suo figlio. "Non sapevo che avessi un figlio", le dissi. "Non ho più mio figlio", mi rispose di spalle mentre appoggiava la testa sulla porta della 211 per poi svanire nella penombra della sua stanza. Il giorno dopo partì senza avvertire. Trovai sul letto della sua stanza una foglia di persea americana stretta in un nastro bianco che odorava di neonato.




La collana di Regula K.
Regula K. era una ex cantante d'opera. Decaduta dopo il grande successo di uno spettacolo in cui interpretava l’ Athene Noctua e rimasta incastrata in quel ruolo, arrivò al Motel accompagnata da una limousine arrugginita e un mazzo di rose secche. Saluto l'autista con un "Adieu!" ed entrò con irruenza osservandosi nervosamente intorno. Poi mi guardò e disse: "Buon uomo, avrebbe una vecchia quercia per la notte? O un salice, una torre o un portico?". "Ma questo è un motel", le risposi. "Allora andrà bene la soffitta. Mi accompagna?".




  1. Una vecchia fotografia della Madre di Tye L.



Tye era molto giovane quando arrivò al Motel. Si guadagnava da vivere facendo il mimo per le strade della città, travestito da clown. Sua madre era stata trapezista in un circo russo ma, in seguito ad un'incidente durante uno spettacolo, rimase paralizzata e cieca da un occhio. Tye aveva all'epoca da poco compiuto cinque anni e presentò alla madre una guaritrice di scuola mesmeriana che, a quanto pare, fu in grado di compiere il miracolo.

















Il telefono della stanza di Marla D.




Marla non aveva Una grande personalità. Intendo dire che ne aveva più di Una. Non si trattava di un banale caso di personalità multipla: lei era piuttosto incline all'amore e tutte le volte che la sua attenzione si concentrava su qualcuno il suo animo ne assumeva tutte le qualità. Si innamorò di Edgar e cominciò a mascherarsi come lui. Poi si innamorò di Paulette e iniziò, come lei, a lavorare con immagini di riciclo e a cucire. Una volta si innamorò persino di Ingrid (la donna delle pulizie) e in quel periodo al Motel non si vide un filo di polvere neanche col binocolo... Con il telefono della sua stanza diceva di poter comunicare con gli spiriti, ma non ne diede mai prova.














Il binocolo di Harlan D.




Harlan era un diplomatico, credo. Non ho mai capito perché scegliesse, durante i suoi soggiorni in città, di alloggiare in uno dei peggiori Motel del mondo: il mio. Non osai mai chiedergli niente. Era il meno eccessivo tra tutti i miei ospiti, un uomo bene educato, colto, cortese e molto riservato. Era sposato e aveva sei figli, tre con la prima moglie, due con la seconda e del sesto non disse mai niente. Amava sopra ogni cosa il suo binocolo perché, come diceva sempre, più osservi le cose da vicino e meno ne avrai timore.















Il portaocchiali di Clarissa Z.




Clarissa era una prostituta. Sebbene il suo lavoro la costringesse a frequentare principalmente dei balordi, il suo animo era quello di una nobildonna. I suoi modi erano molto eleganti, la sua voce calma e calda e la sua vista eccellente. Possedeva tuttavia degli occhiali da vista che indossava quando intendeva darsi un certo tono, senza rendersi conto di quanto le lenti le distorcessero gli occhi, conferendole un aspetto ridicolo. Si fermava spesso nella Grande Sala a sfogliare le sue riviste sorseggiando Gin, con i suoi vestiti da ragazzina e gli occhiali sul naso, come se fuori non esistesse nessun mondo, nessun uomo.














La cassetta degli attrezzi di Edgar H.



Edgar era stato idraulico, imbianchino, facchino, capotreno, ascensorista, postino, meccanico, elettricista, carpentiere, falegname, fabbro e attore porno. Non si separò mai dalla sua cassetta degli attrezzi, che custodiva con assurda gelosia, non consentendo a nessuno di aprirla, toccarla o di sbirciare dentro. So per certo che conteneva davvero anche degli attrezzi da lavoro, perché mi aiutava nelle piccole riparazioni del Motel, ma sul reale contenuto di quel misterioso scrigno di legno verniciato di bianco non saprei dire altro.













Il lampadario di Wert H.



Wert era uno pseudonimo. Questo almeno è ciò che mi disse quando gli chiesi di cosa si occupava nella vita. Passava una volta al mese al Motel - probabilmente per prestare il suo nome a qualcuno in città - e nei giorni in cui restava qui non usciva mai dall'edificio. Lo divertiva molto parlare con i miei ospiti e prendeva appunti su un taccuino. Se ne andava in giro con un piccolo registratore a catturare i suoni del Motel e dei suoi abitanti.














Ancora il lampadario di Wert H.



Questo lampadario lo accompagnava sempre. Un lampadario rotto che diceva di portare in giro per via del suo smisurato amore nei confronti della luce. Quando gli dissi che quell'oggetto era in pessime condizioni e che non vedevo provenire da esso nessuna luce mi rispose che la mia osservazione peccava di superficialità e che vi è luce anche laddove l'occhio non la coglie. Lo disse sorridendo come un bambino.














La maschera di Kate V.




Kate era nata in una famiglia molto facoltosa. Aveva trascorso un'infanzia felice e posseduto tutto quello che una bambina possa desiderare. Divenne muta in seguito ad una caduta da cavallo. Nessun medico, da quel momento, riuscì a farle togliere dalla testa l'assurda idea di essere un gatto e passò il resto della sua vita comportandosi esattamente come un felino. Quando la famiglia andava in vacanza lei soggiornava qui da me al Motel. Morì investita da un' auto in pieno giorno. L' uomo che guidava l'automobile che la uccise adesso è un noto esponente dell'Associazione per la tutela degli Animali Abbandonati, è sposato, ha 1 moglie, 1 amante, 3 figlie, 66 gatti, 5 cani e una dozzina di struzzi nani originari della Patagonia. Dopo la sua morte un vecchio amico di famiglia confessò ai genitori di Kate di aver abusato per anni di lei e di averla sempre chiamata, durante le loro ore di intimità, 'gattina mia bella'.














I garofani di Eva G.



Eva era un'attrice di teatro. Le affidavano per lo più ruoli drammatici e in scena era sempre impeccabile. la sua personalità schizoide la rendeva allo stesso tempo la creatura più adorabile e la donna meno raccomandabile del creato. Tutto dipendeva dal caso, dalla giornata. Questo la portò ad avere moltissime conoscenze, moltissime amicizie e moltissimi amanti, ma il tutto poteva durare al massimo due settimane e mezzo: i conoscenti finivano col disprezzarla, gli amici con l'odiarla e gli amanti col temerla. Questo fece cadere una parte di lei in una profonda depressione, mentre l'altra parte continuò a passare da un ruolo all'altro con assoluta serenità.














I rocchetti di filo di Paulette C.




Paulette amava moltissimo cucire. Non possedeva che mediocri abilità tecniche, ma il risultato non le importava. Il cucito le calmava i nervi e mi disse che era soprattutto la musica dell'ago che entra ed esce dalla stoffa a rilassarla profondamente. Di quale musica parlasse non so, ma molto spesso la trovavo addormentata sulla poltrona della Grande Sala con il suo lavoro sulle ginocchia, serena.